«A Parma, nella biblioteca della Ssica (la Stazione sperimentale per l’industria delle conserve alimentari) ho trovato gli atti di un convegno del 1942: un articolo parlava della produzione di una vernice dalle bucce di pomodoro. Ho pensato di provare a seguire quel metodo sugli scarti». È nata così nel 2008, secondo la ricercatrice Angela Montanari, l’idea di creare la startup “Tomapaint”: l’obiettivo era quello di creare un impianto industriale per estrarre una bioresina dalle bucce di pomodoro. La “biovernice” finale verrà utilizzata nelle scatole per alimenti al posto della plastica, dannosa per la salute. Dopo il primo finanziamento della Commissione Europea i quattro soci iniziano a lavorare in laboratorio: «C’è stato molto interesse perché i contenitori metallici del cibo hanno una vernice bianca o dorata che proviene dal petrolio», ha affermato Montanari.
Come affermano vari studi e ricerche, diventa sempre più urgente la necessità di trovare delle alternative al consumo della plastica. Il rapporto del 2019 del Wwf “Stop the flood of plastic” rende pubblici i dati sulla quantità di plastica nel Mediterraneo (circa 0,5 milioni di tonnellate ogni anno) e si rivolge a governi e industrie affinché si prendano le proprie responsabilità. Anche il nono obiettivo dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile invita a una «industrializzazione equa, responsabile e sostenibile». “Tomapaint” non è ancora riuscita a partire con la produzione e la commercializzazione ma «stiamo cercando i fondi per fare l’impianto industriale e abbiamo bisogno di almeno un milione di euro. Per ora utilizziamo la nostra bioresina per delle prove e abbiamo visto che c’è interesse anche fuori dall’Italia», ha concluso Montanari.