Si può portare l’acqua nei luoghi dove manca? Come creare l’accesso all’acqua potabile? Sono le domande alla base della startup “Auara” che vende bottiglie d’acqua “per cambiare il mondo”: l’idea nasce in Spagna, nel 2016, durante una chiacchierata e una birra tra due amici. Dopo alcuni anni da volontario tra Perù, Etiopia e Cambogia, il ceo Antonio Espinosa si rende conto della mancanza di acqua nei luoghi che aveva visitato. Un problema notevole: si pensi che, secondo i dati pubblicati dall’Unicef e dall’Oms, circa il 30% della popolazione mondiale non possiede un accesso all’acqua potabile nella propria abitazione. Uno dei motivi per cui “l’accesso universale ed equo all’acqua” è tra i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 pubblicata dall’Onu.
I due amici decidono di creare un’impresa sociale che, attraverso la vendita delle bottiglie “Auara”, possa finanziare dei progetti: dalla costruzione di un pozzo in Gambia alla creazione di bagni in un centro che accoglie bambini della strada in India. Il prezzo delle bottiglie non è tra i più economici (il costo è di 8 euro per 9 litri) ma, assicurano i membri, il 100% dei dividendi viene reinvestito nel sociale. Fino ad ora circa 24 mila persone hanno beneficiato dell’idea dei due giovani spagnoli, per un totale di 13 milioni di litri di acqua in 17 Paesi diversi. «Ogni piccolo atto – scrivono sul loro sito – può cambiare il mondo intero, anche il più anonimo. Perché ogni persona e ogni vita sono il mondo intero».
Di Francesco Mazzanti
Foto: Pagina Facebook Auara